L’inchiesta de “Avvenire” sulle periferie di Genova

Il giornalista Marco Birolini del quotidiano nazionale “Avvenire” ha condotto un’inchiesta sulle periferie di Genova, pubblicata a pagina piena (pagina 6) dell’edizione in edicola il 21 luglio 2024..

Una parte dell’inchiesta ha riguardato anche il Cep.

Questo il testo.

Domenica 21 luglio 2024
IL QUARTIERE DORMITORIO DI PRA’
Auto bruciate e graffiti d’autore, la doppia anima del Cep

Dall’inviato a Genova, Marco Birolini

Piantato nella piazza grigia, talmente modesta da non avere nemmeno un nome, l’Orfeo scolpito da Lorenzo Garaventa scruta il mare di Pra’: se si voltasse indietro non vedrebbe gli inferi da cui fuggiva nel Mito, ma semplicemente il Cep.

Più che un girone dantesco, un limbo postmoderno: né città né borgo, è un grumo di case popolari ‘ dimenticato in cima a un serpentone di tornanti.
Niente spazi pubblici, né bar o negozi.
Manca persino il panettiere.

C’era un piccolo supermarket a pochi passi dall’Orfeo, ma ha chiuso dopo furti e vandalismi in serie.

Nel parcheggio giacciono relitti urbani: un’utilitaria smontata, un’auto carbonizzata, uno scooter abbandonato da così tanto tempo che sulla sella è cresciuto il muschio.

Un (non) luogo dolente e deserto, il Cep.
Chi lavora ci torna solo per dormire, mentre i tanti disoccupati e pensionati si rintanano nei loro vecchi alloggi.

In via Novella li stanno ristrutturando grazie al superbonus, ma i lavori procedono con qualche imprevisto di troppo.
Dieci giorni fa c’è stata tensione tra inquilini e operai stranieri in trasferta, che durante i lavori usufruiscono di alcuni locali sfitti.
Una guerra tra poveri che aggrava il malessere del quartiere.

Poi c’è la questione dei ragazzini: girano senza meta, oppure si adagiano sul divano incollandosi allo smartphone.

Molti sono figli di giovani madri sole, che lavorano giù in città e tornano solo la sera.

In questo deserto sociale, l’unica oasi dove spuntano tracce di vita comunitaria è il Pianacci, Circolo Arci che dal 1997 sfida la solitudine.

Tanto sport, un campo di calcetto aperto 7 giorni su 7, ma anche attività ricreative e spettacoli.

«La prima cosa da fare è portare la gente fuori di casa  spiega Carlo Besana, presidente onorario e motore del circolo . Alcuni anni fa era più facile, ma prima il Covid e poi il dilagare dei social hanno spinto le persone a chiudersi in se stesse. Noi però non ci arrendiamo e proponiamo i nostri eventi, capaci di portare qui centinaia e a volte migliaia di persone. Qui hanno suonato i Subsonica, è venuto a trovarci don Andrea Gallo, Beppe Grillo ha annunciato la nascita dei Cinque Stelle. Momenti che accendono le luci su un quartiere difficile. Negli anni ’70 era abitato da operai, portuali e forze dell’ordine. C’erano problemi, ma anche senso di comunità. Poi sono stati mandati qui molti soggetti problematici: pazienti psichiatrici, ex tossici, ex detenuti. Chi poteva permetterselo se ne è andato».

Il “Coordinamento di edilizia popolare” è stato ribattezzato “Centro elementi pericolosi”:
«Ci sono stati anni in cui i mezzi pubblici salivano scortati dalla polizia perché venivano presi a sassate» ricorda Besana, ex farmacista che da quasi 30 anni cura l’anima ammaccata del quartiere con allegria e creatività, convinto com’è che «la cultura del bello aiuti a vivere meglio, anche in posti come questo».

Ecco quindi l’idea di portare al Pianacci una banda di ottoni, oppure tre tenori. «In queste serate molti hanno riscoperto l’orgoglio che io chiamo “ceppista”».

Il Pianacci è diventato un centro di gravità permanente, per il Cep e non solo: c’è chi vi svolge i lavori socialmente utili, e poi magari resta a dare una mano anche se ha già scontato la pena.

I grandi nomi della street art sono fieri di lasciare un’impronta d’autore dove i giovani del quartiere passano il loro tempo libero, che in molti casi rischia di essere anche troppo.

«Al Cep i128% dei giovani non studia e non lavora: una quota elevatissima» sottolinea Sergio Casali, responsabile della Scuola della Pace di Sant’Egidio.

«Ci sono ragazzini dotatissimi, che però passano le giornate tra comunità di recupero e commissariato» aggiunge con amarezza.

Per invertire la rotta si è scelta la strada della qualità. La Scuola della Pace ha affiancato la direzione dell’istituto Aldo Moro nella progettazione (grazie anche al sostegno di “Con i Bambini “) di due nuove sezioni montessoriane sperimentali: l’obiettivo è arginare la dispersione scolastica e frenare la “fuga” verso altri istituti che godono di una migliore reputazione.

«La nostra didattica prevede anche corsi di teatro, musica e sport. Le famiglie apprezzano: aumentano le iscrizioni e sono sempre meno quelli che portano i figli altrove. I problemi sono tanti, ma Sant’Egidio sta cercando di fare rete sul territorio per trovare soluzioni. Abbiamo una cinquantina di liceali e universitari che vengono ad aiutare i più piccoli. A loro volta, i bambini trainano gli adulti nella riscoperta della socialità: la festa che facciamo nella piazzetta dell’Orfeo è uno dei momenti più attesi, anche perché è una delle poche occasioni di aggregazione».

L’impianto sociale resta povero e fragile, indebolito anche da diffidenze in apparenza profonde.

Il Cep è troppo periferico persino per gli stranieri, che preferiscono i quartieri più vicini al mare, ma il razzismo è in agguato anche quassù.

Basta poco, però, per disinnescarlo.

«C’era una ragazza che detestava gli africani. Ma è bastato un gesto per farla ricredere. Lei piangeva perché non aveva nemmeno il latte da dare ai bimbi: un vicino senegalese senza dire nulla si è presentato con una borsa della spesa, lasciandola senza parole».

“Avvenire”, 21 luglio 2024, pagina 6
(clicca per ingrandire)

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